Area Novità

Un museo della lotta al diabete

PARECCHI anni fa, in un corridoio accanto alla Divisione di endocrinologia all'ospedale Maria Vittoria di Torino, veniva aperto il Centro di Diabetologia, voluto dal professor Bruno Bruni. Nello stesso corridoio c'era un piccolo armadio dove Bruni, primario della Divisione, oggi in pensione, riponeva tutto ciò che riguardava la storia e la cura del diabete. Anno dopo anno il clinico continuava a mantenere a sue spese il Centro, che ha preso il nome di "Karen Bruni Bocher" (oggi conosciuto come "KB") nel ricordo della moglie Karen Bocher, prematuramente scomparsa. Dal 1984 ha sede al numero 72 di via Beaumont, nella Torino liberty. Il piccolo armadio d'ospedale si è ampliato in molte vetrine e numerosi scaffali e, dal 1989, è diventato il primo "Museo del Diabete" in Italia, e forse in Europa, superiore a quello di Bevenjen, vicino ad Hannover in Germania. Grazie alla pazienza e all'interesse storico del suo fondatore e di tanti amici e collaboratori, il piccolo Museo offre oggi ai visitatori una biblioteca che dal 1975 si è arricchita di oltre 2500 volumi (il più antico è datato 1563). Ci sono inoltre molti manoscritti, farmaci, apparecchi e strumenti scientifici di ogni epoca per la misurazione della glicemia e della glicosuria. Una bibliografia primaria e secondaria, negli indici di Schumacher (1953), di Schadewaldt (1975), di Peumery (1987) e di Von Engelhardt (1989), completa tutta la letteratura sul diabete di particolare valore storico. Tra le 150 testimonianze di vita su diabetici e diabetologi del passato, le attrezzature per la determinazione domiciliare della glicosuria, come il Diabetimetro Bottini e il Glucosimetro Syron e un non comune "Reattivo triplo" in antica boccetta. Ma anche siringhe di vetro da insulina, bollitori, iniettori automatici, contenitori autofabbricati di varia provenienza. Pezzo raro è l'autosiringa universale Lombardo per l'iniezione di insulina, usata dal meccanico-motorista diabetico Piero Barbieri, dal 1937 al 1993. Consistenti i carteggi, referti, fotografie, manoscritti e registrazioni come le perizie di Carlo Tosatto per procurarsi l'insulina nel 1944; unici gli appunti manoscritti di Stefano Lega per la fabbricazione artigianale di insulina (1943), nel Laboratorio Lipo di Torino.

Ernesto Bodini (tratto da "La Stampa")



MEDICINA

C'è un interruttore per spegnere il dolore


Ecco le più recenti terapie che alleviano le sofferenze dei malati

NEL 1931 il Premio Nobel Albert Schweitzer disse: "Il dolore domina l'umanità più della morte". Oggi, dopo 65 anni, il dolore acuto o cronico affligge ancora decine di milioni di esseri umani e altera la qualità della loro vita fino a renderli invalidi. E i trattamenti medici sono quasi sempre inadeguati. Esistono dolori che durano soltanto giorni: come quelli causati da traumi, postumi di operazioni, malattie che si riacutizzano. Ma il dolore che più spaventa è quello cronico, che dura mesi o anni, creando dei veri invalidi. Questa è la sorte di chi soffre di cefalee o nevralgie persistenti, nevrite post-erpetica, distrofia simpatica riflessa, dolore al basso rachide, per arrivare al dolore neoplastico. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha calcolato che ogni anno almeno tre milioni e mezzo di persone soffrono di dolori causati da un tumore e solo una piccola parte beneficia di una terapia soddisfacente. Che cosa si può fare per cambiare questa situazione? Nel dolore acuto - in particolare in quello traumatico e postoperatorio - otteniamo già ottimi risultati: i farmaci impiegati sono gli oppiacei, talvolta abbinati agli anestetici locali. In pratica, oggi la somministrazione epidurale e intratecale di minime dosi di oppiacei rappresenta il maggior contributo per alleviare il dolore nel periodo postoperatorio. Il dolore cronico - antico e terribile nemico dell'umanità - è un problema moderno ben più grave e drammatico. E' causato da patologie come le nevriti, le fibromialgie, le nevriti posterpetiche, le nevralgie della colonna spinale e da tutte le malattie su base degenerativa come le artrosi. Per fortuna oggi lo specialista dispone di mezzi e metodi quasi sempre efficaci, almeno per periodi limitati. Si tratta di terapie farmacologiche. Ma quando è necessario un trattamento prolungato, lo specialista può ricorrere alla terapia di "blocco loco-regionale" che risolve una serie di ardui problemi. Se il dolore è insopportabile e invalidante, possiamo intervenire con tecnologie e capacità umano-specialistiche modernissime e in continua evoluzione. Nella nevralgia del trigemino, del glossofaringeo e in alcune forme di dolore lombare, abbiamo la possibilità di ricorrere ai "blocchi neurolitici", eseguiti con metodiche molto precise, impiegando apparecchi radiologici, che consentono una lesione esatta del nervo responsabile della sintomatologia dolorosa: mettendolo, se così si può dire, a tacere. Per il dolore di origine infiammatoria e da edema (lombosciatalgie, cervicalgia, sciatica), e con interessamento muscolo-scheletrico (tendiniti, distorsioni, lussazioni, mialgie), disponiamo di attrezzature elettromagnetiche ad altissima affidabilità: capaci, con appositi cicli e trattamenti, di annullare queste forme di dolore senza alcuna aggressione, né farmaceutica, né chirurgica. Questi apparecchi sono veri gioielli della tecnologia: dotati di ampia gamma di programmi, utilizzando correnti diadinamiche e ultrasuoni, attraverso sistemi computerizzati sofisticatissimi valutano le correnti adatte ad ogni singolo paziente e praticano trattamenti mirati di analgesia, stimolazione nervosa, rilassamento, tonificazione e rieducazione muscolare. Alle soglie del 2000 possiamo dire che il dolore - specie quello cronico, un tempo invincibile - se ben diagnosticato e curato coi nuovi mezzi non è più una barriera insuperabile.

Ugo Delfino Università di Torino (tratto da "La Stampa")



LAVORO PUBBLICATO SU HUMAN REPRODUDCTION

Dalla Suzi all'Icsi usando spermatozoi con la coda tagliata


Confortanti i risultati che emergono dai dati del Centro Raprui di Roma

L'ORGANO Ufficiale della Società Europea per la riproduzione umana e l'embriologia "Human Reproduction", diretto da R.G. Edwards, pubblicherà un articolo predisposto da Severino Antinori, direttore del centro Raprui di Roma, sulle possibilità offerte dalla iniezione intracitoplasmatica di spermatozio (Icsi) per uso umano nella infertilità maschile "grave" e sull'aumento di fecondazioni e gravidanze raggiunto grazie a questa metodica. Come noto sono state molte le procedure di fecondazione assistita introdotte negli ultimi anni, quali la Pzd e la Suzi, che però hanno manifestato successi modesti a livello di fertilizzazione e gravidanze. Dal 1992 ad oggi i pazienti trattati sono stati 335 con 139 gravidanze ottenute, ma da quando nel centro Raprui l'Icsi viene effettuata per transfer (sviluppo dell'embrione in vitro con successivo trasferimento nell'utero) la casistica è passata dal 25 al 33 per cento di successi. Ma si possono ottenere gravidanze anche con spermatozoi immobili, anche se agli spermatozoi viene artificialmemte tagliata al coda: quest'ultimo risulterebbe quindi un veicolo della informazione genetica da introdurre nel citoplasma dell'ovocita. In sostanza quando le vie genitali maschili non sono in grado di veicolare gli spermatozoi - per chiusura dei canali deferenti piuttosto che per cause infiammatorie - questi vengono prelevati direttamente dal testicolo (Tesa 9) o dall'epididimo (Mesa). Fino ad oggi al centro Rapui sono stati trattati in questo modo 34 casi con quattro gravidanze ottenute. L'applicazione clinica dell'Icsi sembra garantire maggiori successi in questi campi. Si è dimostrato che le preventiche modifiche parziali della menbrana plasmatica dello spermatozoo sono necessarie per consentire una "decondensazione" del nucleo dello spermatozoo dopo l'ingresso nell'ovocita. Il taglio della coda dello spermatozoo ha dimostrato di contribuire sostanzialmente al buon esito dell'intervento ed alleviare in questo modo sensibilmente il numero dei casi di infertilità classificati "senza speranza" fino a qualche anno fa.

Tratto dal "Medico d'Italia" n. 18/1995




CONVEGNO ALLA CATTOLICA DI ROMA ORGANIZZATO DA SALVATORE MANCUSO

Prospettive cliniche dell'apoptosi


Aumentate negli ultimi tre anni le pubblicazioni scientifiche sul tema

CON il temine "apoptosi" si definisce "la morte cellulare programmata". Tale termine viene usato per indicare qualsiasi evento di morte cellulare diverso dalla necrosi. Mentre infatti nella apoptosi si ha un interessamento di singole cellule, nella necrosi vi è l'interessamento di aree intere.
L'apoptosi costituisce il principale meccanismo di eliminazione delle cellule nel corso di processi fisiologici quali lo sviluppo embrionale, la maturazione intratimica delle cellule T, Il turn-over dei tessuti adulti, la corretta funzionalità del sistema immune. Tuttavia, essa può essere indotta da situazioni parafisiologiche e sembra associata a malattie neurovegetative,autoimmuni e della patologia neoplastica.
Il problema della apoptosi è sempre di più al centro dell'interesse degli studiosi; ne è prova il fatto che le pubblicazioni che hanno per oggetto lo studio del fenomeno sono aumentate significativamente negli ultimi 3 anni. Al problema è stato dedicato un recente convegno a Roma, organizzato dalla "Unità di Formazione in ginecologia ed in Oncologia" e presieduto dal professor Salvatore Mancuso - Università cattolica di Roma - con il coordinamento dei professori P. Benedetti Panici, G. Isola, G. Melino, M. Piacentini e G. Scambia.
Il tema dell'incontro è stato "Prospettive cliniche dell'apoptosi". All'incontro hanno partecipato ricercatori di base e clinici al fine di inquadrare il problema della apoptosi sia da un punto di vista generale che da un punto di vista delle possibili applicazioni cliniche, in particolare nel settore dell'oncologia.Il crescente interesse nei confronti del ruolo della apoptosi in relazione alla patologia neoplastica è giustificato dalla possibilità non solo di comprendere le alterazioni della regolazione cellulare, tipiche dell'evento trasformazione, ma soprattutto di guardare con ottica diversa a tutta una serie di implicazioni di impatto clinico (ruolo protettivo della apoptosi nella mutagenesi e promozione tumorale, ruolo della suscettibilità delle cellule tumorali di andare incontro ad apoptosi nell'ambito della risposta terapeutica, identificazione dei meccanismi coinvolti nella resistenza agli agenti chemioterapici e possibile utilizzo dell'indice di apoptosi iniziale a scopo preditivo della risposta alla chemioterapia e/o ormonoterapia, ecc.).
Solo recentemente la patologia neoplastica è stata vista come qualcosa di più che la conseguenza della proliferazione incontrollata. Infatti il tasso proliferativo delle cellule tumorali raramente eccede quello del tessuto normale, indicando che il fenomeno di accumulo delle cellule tumorali sostanzialmente incapaci di morire può giocare un ruolo rilevante sull'incremento della massa tumorale. Inoltre è da considerare che l'apoptosi costituisce un mezzo efficace per rimuovere le cellule danneggiate a livello genetico e quindi si caratterizza per l'attività antimutagena.
La carenza dei meccanismi responsabili di apoptosi può anche costituire una condizione favorevole per l'azione di promotori tumorali. Alla luce di tali considerazioni dal convegno di Roma sono emerse alcune indicazioni sulla possibilità di valorizzare sul piano clinico, in particolare in oncologia, le attuali conoscenze sull'apoptosi. Da un punto di vista terapeutico è emerso grande interesse verso farmaci in grado di modulare il fenomeno della apoptosi in senso positivo o negativo. In particolare è stato evidenziato come molti degli antiblastici attualmente utilizzati in oncologia (ad es. il tamoxifene, l'antiestrogeno da anni impiegato nella cura dei tumori della mammella ed attualmente in studio per la prevenzione di tale neoplasia nelle donne sane) agiscano inducendo apoptosi nelle cellule tumorali e come la chemio-resistenza di alcuni tumori sia dovuta alla loro intrinseca od acquisita capacità di resistenza all'induzione di apoptosi. Infine, sono stati presentati i più recenti dati relativi a nuovi farmaci antitumorali in sperimentazione, studiati specificatamente come modulatori dell'apoptosi.

Tratto dal "Medico d'Italia" n. 18/1995




Nuove prospettive nel campo della radiologia interventistica

Presso l'Istututo dei Tumori di Milano è stata recentemente messa a punto una nuova tecnica che attraverso la combinazione della Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) con la fluoroscopia a sottrazione di immagine (CTF), permette la esecuzione di manovre mininvasive sul paziente quali biopsie e interventi non invasivi su vie urinarie ed epatobiliari, drenaggi, cateterismi, monitoraggi, aneurismi aortici, interventi sul canale spinale. I vantaggi di questa sinergia potrebbero riassumersi nella concentrazione di più esami in un'unica seduta con riduzione di disagio per i pazienti, aumento della sicurezza per operatori e ammalati, maggiore diffusione e applicazione di procedure altrimenti destinate, per complessità e rischi correlati, a un numero ristretto di casi.
La dotazione dell'Istituto milanese consiste in una apparecchiatura TAC dell'ultima generazione Picker, collegata a un angiografo digitale Fischer.
Per mezzo del braccio computerizzato di un amplificatore di brillanza (usato in fluoroscopia), vengono praticamente eseguite operazioni manuali all'interno dell'organismo quali posizionamento di pompe a infusione all'interno del sistema vascolare (chemioterapia selettiva), di cateteri per la nutrizione in corso di neoplasie stenosanti inoperabili (gastrostomie nutrizionali palliative), impianto di elettrodi stimolatori in sede peridurale e subaracnoidea. L'operatore segue l'andamento delle procedure attraverso due monitor collegati all'amplificatore di brillanza e il monitor della TAC.
La stragrande maggioranza dei pazienti esegue gli esami in anestesia locale.




L'NGF è anche responsabile della distruzione dei neuroni

Finora considerato la sostanza chiave per la sopravvivenza delle cellule cerebrali, il fattore di crescita delle cellule nervose (Ngf) scoperto dal Nobel Rita Levi Montalcini sembra essere anche il responsabile della distruzione dei neuroni. E' quanto risulta da una ricerca condotta in Germania, presso il Max Planck Institute, secondo il quale l'Ngf può contenere anche istruzioni in base alle quali le cellule nervose possono autodistruggersi. I ricercatori sono giunti a questa conclusione dopo aver inserito nelle retine di alcuni embrioni di pollo, cellule in grado di produrre una sostanza anti-Ngf. E' risultato che nelle retine trattate in questo modo il numero delle "cellule suicide" era sensibilmente diminuito.

da "NATURE"



Osservata nei particolari per la prima volta l'attività del cervello nel sonno Rem

Per la prima volta è stata osservata nei particolari l'attività del cervello nel sonno Rem, caratterizzata dal sogno e da movimenti rapidi degli occhi. Lo studio è stato condotto in Belgio, presso l'Università di Liegi, utilizzando la tomografia ad emissione di positroni. E' risultato che in questa fase del sonno aumentano la loro attività alcune zone del cervello, come l'amigdala e il talamo. Ciò fa supporre che queste aree siano coinvolte nella formazione e nel consolidamento delle esperienze emozionali.

da "NATURE"



Andamento della colonizzazione dei linfociti Cd-4 e Cd-8 nei malati di AIDS

Non più soltanto i Cd-4, le cellule che agiscono come aiuti per le altri parti del sistema immunitario, ma anche le cellule immunitarie killer, i Cd-8 sono il bersaglio del virus dell'Aids. E' il risultato di una ricerca condotta all'Università di Edimburgo. I ricercatori hanno analizzato il sangue di 16 pazienti sieropositivi, otto dei quali ancora asintomatici e otto con Aids in atto. Mentre nella maggior parte dei primi il virus era stato individuato sopratutto nei Cd-4, in cinque degli otto pazienti malati di Aids le cellule Cd-8 contenevano fra il 66% e il 97% della quantità totale di virus presente nel sangue. Di conseguenza, è stata formulata l'ipotesi che l'infezione delle cellule Cd-4 sia caratterizzata dalle fasi iniziali dell'infezione, mentre quella dei Cd-8 e di altre cellule del sistema immunitario giochi invece un ruolo cruciale nel corso della progressione della malattia e sopratutto negli stadi più avanzati. Commentando la ricerca, gli inglesi Stella Knight e Steven Patterson, dell'Imperial College School of Medicine di Harrow, ritengono sia urgente verificare l'impatto clinico delle infezioni del Cd-8 per migliorare le attuali terapie per la cura dell'Aids.

da "THE LANCET"

 

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