Mentre l'aereo presidenziale virava verso Ovest
decollavano in sua difesa gli F15 e gli F16


Caccia all'Air Force One
"Volevano uccidere Bush"

La Casa Bianca svela l'obiettivo del quarto aereo
WASHINGTON - Uccidete George Bush, abbattete l'Air Force One: questo era il piano. Questa è la verità che tinge il primo mattino di un'America che si risveglia in guerra contro il nemico "senza nome e senza volto" e ricomincia a funzionare, treni, autobus, qualche aeroporto, traghetti. Le Torri della finanza, il Pentagono, Manhattan, la strage dei civili, le migliaia di morti dalle quali una nazione sta emergendo con la forza dell'"uomo tranquillo", del popolo della frontiera, erano soltanto corollari: l'obiettivo vero era lui, George W. Bush. Erano la Casa Bianca, l'Air Force One, la vita dell'uomo che incarna in sé il potere costituzionale e la continuità politica dell'America. "Abbiamo prove specifiche e credibili che il Presidente e il suo aereo personale erano i bersagli dei dirottatori" dice il ministro della Giustizia, Ashcroft.

E se l'enormità umana di quello che è avvenuto a New York già era incomprensibile, il progetto di assassinare in una collisione nel cielo il capo dello Stato americano fa capire perché il Senato degli Stati Uniti abbia votato ieri notte all'unanimitá, 100 voti su 100, i poteri di guerra a Bush. E perché la Nato abbia risposto "si" all'appello americano.
Non ce l'avevano voluta dire, nelle prime ore, la verità intera sull'attacco agli Stati Uniti. Non sarebbe uscita forse neppure oggi, se qualche deputato al Congresso non avesse brontolato per l'assenza di Bush da Washington nel momento del panico. L'Air Force One, il Boeing 747 azzurro e argento che da 9 anni serve da Casa Bianca volante, era appena decollato da Sarasota, in Florida, quando il controllo nazionale dei voli, attraverso l'Aviazione militare alla quale appartiene il Boeing presidenziale, prendeva contatto con i piloti dell'Air Force One, per avvertirli che altre aerei di linea avevano improvvisamente deviato dal piano di volo e puntavano tutti verso Sud. Tutti in rotta di collisione. La decisione era stata immediata.

Da una base militare, Otis AFB, si erano alzati tre F15 e un F16, quattro caccia intercettori supersonici, mentre il grande aereo di Bush virava rapidamente verso Ovest, puntando sulla pista militare di Shrieveport, in Louisiana. Il Boeing 747 è disarmato: per difendersi, ha soltanto misure passive, sistemi elettronici di interdizione anti radar e anti missili infrarossi. Ma non ha nulla che possa proteggerlo da un velivolo suicida che punti alla collisione. E mentre Bush atterrava in Lousiana, il secondo aereo carico di suicidi involontari si schiantava contro la seconda Torre di Manhattan.

L'Air Force One decollava dalla Lousiana, puntando i suoi quattro motori Pratt and Whitney al massimo dei giri verso Nord Ovest, verso la base di Omaha, nel Nebraska, dove risiede il comando della flotta di bombardieri strategici nucleare, il Sac. Mentre volava, un terzo aereo decollava dall'aereoporto internazionale di Washington, il volo United per Los Angeles.
Faceva rotta verso ovest, secondo il piano di volo, poi il dirottamente improvviso, raccontato dalla voce di una famosa avvocatessa, Barbara Olson, al telefonino col marito, Bob Olson, che è l'avvocato generale dello stato. "Sono in tre, hanno coltelli, ci hanno dirottato, I love you, stiamo precipitando".
La nuova rotta avrebbe portato direttamente l'aereo sulla Casa Bianca, ma all'ultimo istante si è abbattuto contro il Pentagono, che sta a meno di un chilometro in linea di volo dallo Studio Ovale e ha funzionato da muraglia.

Restava un quarto aereo in volo, l'altro 757 che puntava anch'esso a Sud. Il pilota aveva lasciato aperto il microfono della radio e i controlli ascoltavano qualcosa, forse quel segnale "credibile e reale", che il loro obbiettivo era la caccia all'Air Force One. Poi, quel 757 entrava in picchiata e si schiantava in un prato della Pennsylvania. L'aereo presidenziale, con la sua scorta di caccia, raggiunge finalmente Andrews, la base aerea accanto a Washington.

E il primo mattino dell'America in guerra arrivava con il Presidente al sicuro nella sua casa e con le chiatte da spazzatura che traghettano cadaveri verso il New Jersey perché Manhattan non ha più posto (anche il negozio di Brooks Brothers è stato adibito a obitorio). Ma questo non è il semplice "giorno dopo" una catastrofe enorme, è il "primo giorno" di una guerra che Bush ha dichiarato, che Powell ha chiesto formalmente alla Nato di combattere a fianco dell'America, che lo Fbi ha aperto con un salvo di sette arresti tra Boston e Miami e che tutta la nazione, 9 americani su 10 nei sondaggi, vuole, ma senza piangere, ripescando la sua natura inestirpabile di villaggio assediato alla frontiera.

Ora sono gli altri, ad avere paura di quest'America dalla collera tranquilla che non potrá dimenticare nella quotidianitá della vita, il giorno 11 settembre del 2001, perché ha visto, perché esistono ed esisteranno per sempre le immagini come sono rimaste nei secoli le sequenze delle corazzate che ardono nella rada di Pearl Harbour. E soprattutto perché anche Bush ha finalmente piegato la testa della sua arroganza provinciale e ha capito che anche l'America di un texano ha bisogno del mondo, perché neppure l'America è invulnerabile. Il governo Talibano di Kabul, quello che sta in questi giorni processando missionari americani accusati del crimine orrendo di avere introdotto nel Paese Bibbie per bambini, implora di non essere attaccato e bombardato, il generale pakistano Mashrouf accoglie l'ambasciatore Usa per sapere come rendersi utile nella cattura di Osama Bin Laden, perché tutti, forse anche quei poveri disperati che festeggiavano nelle vie di Gaza e del Cairo senza capire che alla fine saranno sempre loro a pagare, sanno che la risposta verrá. La moviola infinita lo garantisce.

La risposta privata e quella pubblica del "villaggio America" si muovono in sintonia come sempre nelle ore in cui la comunitá è minacciata. Il Presidente Bush non scarica vilmente e su nessuno gli errori e le responsabilitá di un sistema di intelligence e di sicurezza che pure lui ha ereditato da Clinton e ha permesso questo "bombardamento" di vite innocenti..

Per le strade, sbocciano milioni di bandierine a stelle e strisce, che i supermercati regalano ai clienti, mentre in una Washington ancora misteriosamente silenziosa, dalle finestre degli uffici e delle case spuntano le bandiere grandi, quelle da festa nazionale, senza che nessuno abbia dato l'ordine di farlo. Sulle piste degli aereporti, che in un giorno normale vedono 32 mila voli partire o arrivare, i gemelli di quei Boeing usati come armi ricominciano adagio a muoversi. Soltanto a sera hanno ricominciato a volare, pochi alla volta. Miliardi di dollari in affari sono fermi con loro, in attesa che riapra oggi Wall Street, ma nessuno si lamenta, neppure al pensiero che, quando i voli ricominceranno, i controlli diventeranno un tormento, perché, dice il Presidente della Federal Aviation Administration, "in guerra si devono fare sacrifici".

Il povero sindaco Giuliani, quello della criminalitá sconfitta e della tolleranza zero fa la spola insonne tra le macerie che hanno inghiottito il suo capo dei pompieri e il vice capo della polizia insieme con 200 vigili e 78 agenti e le luci delle telecamere davanti alle quali, non piú sceriffo ma infermiere di una cittá intera, cerca di preparare i suoi concittadini al numero finale dei morti, che sará "impossibile da sopportare". E che, invece, sará sopportato, da questa nazione che ha sempre deluso chi ha confuso i suoi simboli con la sua sostanza, i suoi uomini con la sua costituzione. Per ora, ma non per sempre, il villaggio è tutto stretto attorno al suo incerto sceriffo minacciato dai banditi. Qualcosa, l'uomo dell'Air Force One dovrá fare e fare in fretta.

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