ANDY SUMMERS: “PEGGY’S BLUE SKYLIGHT” (RCA)
di Luca Perini


courtesy of © RCA Victor
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Andy Summers chitarrista jazz? Non abbiate paura, avvicinatevi. Specialmente se siete tra quelli che non sanno più che fine abbia fatto dai tempi dei Police. La sua naturale riservatezza in questi anni gli ha suggerito di rifugiarsi nell’intima accoglienza della vita da club. Dopo aver studiato e approfondito l’universo Monk ha deciso che fosse ora di buttarsi a capofitto in quello del grande contrabbassista Charles Mingus, di cui ha reinterpretato ben 13 composizioni. Nuove operazioni di arrangiamento che partendo dal nucleo base del suo trio - condiviso con il basso elettrico di Dave Carpenter e il batterista Joel Taylor – prevedono l’allargamento timbrico all’accordeon di Nick Ariondo come all’Hammond B-3 di John Novello. Senza rinunciare all’utilizzo strategico del parente del sitar indiano - la veena - in “Reincarnation of a Lovebird” e del percussionismo brasiliano in “Remember Rockfeller at Attica”. Qui è presente anche il trombone di Kurtis Fowlkes, abile musicista al fianco dei Jazz Passengers del sassofonista Roy Nathanson, con i quali partecipa inoltre alla rielaborazione surriscaldata dell’emblematico “Free Cell Block F”, composizione con la quale a suo tempo Mingus denunciava le segregazioni politiche e civili del “popolo del blues”. Gli anni, per chi lo ricorderà, erano quelli delle Black Panther. Andy Summers ha inoltre voluto con sé in questo nuovo progetto l’mc Q-Tip (noleggiato dai A Tribe Called Quest) specie per aggiungere una particolare spezia hip hop alle “rogatorie” metriche di Mingus; a lui è affidato il medley “Goodbye Pork Pie Hat/Where can a man find peace?”. Il Kronos Quartet di David Harrington mantiene sospesa la carica emozionale di un brano elegiaco come “Myself when I’m Real”, mentre la voce di Deborah Harry sussurra le inquietudini poetiche di “Weird Nightmare”. Dal canto suo Andy Summers interviene con uno stile decisamente indirizzato verso l’intensificazione dei propri mezzi espressivi, una meditazione accurata intorno al suono e alla sua materia. Il suono per lui è un oggetto timbrico e ritmico da soppesare con cura e con cui strategicamente intrappolare l’ascolto. Per cui non va sprecato. Anche le idee che hanno motivato le sue personali riletture hanno evitato le insidie di eventuali banalizzazioni o manierismi di sorta. Al contrario, quest’omaggio musicale risulta essere una convincente prova d’autore. Un particolarissimo remix in versione “unplugged” che merita più di un’emozione.

ST. GERMAIN: "TOURIST" (EMI)

Nel XVII secolo, alla corte di re Luigi XV c'era un personaggio misterioso; si faceva chiamare il conte di Saint Germain e con le sue grandi doti d'intrattenitore divertiva la corte raccontando storie e facendo credere di essere vecchio centinaia d’anni…
Nel XXI secolo la leggenda rivive e con essa rivive la figura di St. Germain, tornato per intrattenere il popolo.
Il suo vero nome? Ludovic Navarre. Il suo più grande merito? Essere un pioniere - se non il fondatore stesso - del "French Touch"! Si, perché anche se lui non ama essere accostato a tanti suo colleghi, resta innegabile che abbia gettato le basi per quello che in seguito è divenuto un vero e proprio fenomeno… vedi Dimitri from Paris, Air, Laurent Garnier, Stardust, Daft Punk, fino ai più recenti Phoenix.
Infatti, prima ancora del 1995 - anno in cui St. Germain debutta con "Boulevard", nominato miglior album dell'anno in Inghilterra ai Dance Music Awards tenutisi a Londra (album tra l'altro apparso sull'etichetta di Laurent Garnier, F Communications) - Navarre vanta un lungo passato nella scena musicale elettronica, ma sempre dietro a pseudonimi quali Sub System, Deep Side, Modus Vivendi, Soofle, LN's o Nuages. Proprio in quegli anni, St. Germain sviluppa il proprio stile personale, abbandonando la techno a favore di un “genere” musicale più sensuale e melodico, di cui "Rose Rouge" è l'apice. "All'epoca i ritmi della techno si erano stagnati intorno ai 150 bpm” – spiega proprio lui – “divenne una vera e propria dittatura del ritmo… allora decisi di rallentare tutto".
Il passo da "Boulevard" a "Tourist" è avvenuto in modo del tutto naturale, senza nessun tipo di forzatura. Non si tratta di un collage di stili per fini puramente commerciali; il jazz ed il blues si fondono quasi per magia alla dance, alla musica ambient, il dub e l'house music. "Tourist" è decisamente una boccata d'aria fresca e St. Germain libera la propria creatività, riuscendo a fondere le vecchie idee ad un nuovo modo per esprimerle… ovvero l'incontro tra gli strumenti suonati dal vivo (presenti anche durante i suoi live) e le sue manipolazioni elettroniche fatte di house, trip hop e campionamenti.
Insieme a Ludovic Navarre, fanno “i turisti” il trombettista Pascal Ohsé, il sassofonista Edouard Labor, Edmondo Carneiro alle percussioni ed Alexandre Destrez alle tastiere. Invitati d'eccezione il chitarrista jazz giamaicano Ernest Ranglin e John Lee Hooker (quest'ultimo scomodato sotto forma di sampling per il secondo splendido singolo estratto dall'album, "Sure Thing").
Ormai l'asse New York/Chicago/Detroit si è arricchita di una nuova tappa: Parigi.

"IL RUGANTINO" A NEW YORK

Dopo Pavarotti e Bocelli anche il jazz made in Italy si appresta a conquistare le platee americane. Un'operazione in grande stile che vedrà il gotha dei nostri jazzisti - dal batterista Roberto Gatto al trombettista Enrico Rava, dal sassofonista Rosario Giuliani al pianista Stefano Bollani - suonare il prossimo 29 gennaio alla Carnegie Hall di New York, il tempio della musica americana, nella rilettura jazzistica di un classico dei musical italiani, il "Rugantino" di Garinei e Giovannini su musiche di Armando Trovajoli.
Non è la prima volta che il "Rugantino" sbarca in America (nel gennaio del '64 andò in scena con Nino Manfredi, Ornella Vanoni e Aldo Fabrizi al Teatro Mark Hallinger di New York), in ogni caso la versione elaborata da Roberto Gatto è una novità assoluta. Il concerto - annuncia il batterista - è un omaggio ad un grande compositore italiano, Armando Trovajoli, che iniziò la la sua carriera proprio come pianista jazz. Ad esibirsi sul mitico palco della Carnegie Hall sarà un ensemble costituito per l'occasione. Con Roberto Gatto suoneranno Enrico Rava, Stefano Bollani, Gabriele Mirabassi, Rosario Giuliani, Gianluca Petrella, Claudio Corvini, Luca Bulgarelli, Massimo Pirone e Stefano Mastrangelo: tutti musicisti che in passato hanno collaborato con Chet Baker, Miles Davis ed altri nomi storici del jazz. Ma non solo. Sul palco ci saà anche una sezione di 12 archi della Roma Sinfonietta, mentre a dirigere il concerto sarà Paolo Silvestri, compositore e arrangiatore che di recente ha firmato la colonna sonora dell'ultimo film di Peter Del Monte, "Controvento".
Le musiche originali del "Rugantino" - spiega Gatto - sono indubbiamente molto melodiche e con vari riferimenti alla musica popolare. In questa riscrittura jazzistica ho mantenuto intatte le linee melodiche, perfettamente riconoscibili, lavorando molto sulla griglia degli accordi, una tessitura armonica che si presta ottimamente alle improvvisazioni dei vari strumenti. Il concerto è stato già presentato con grande successo al Teatro Sistina di Roma in anteprima assoluta, riscuotendo anche i consensi di Armando Trovajoli. Nel concerto (disponibile anche su CD della CamJazz) si ascolteranno i brani più celebri del Rugantino, da "Roma nun fa' la stupida stasera" con la partecipazione di Peppe Servillo degli Avion Travel, a Ciumachella.